Cara mamma, ti rispondiamo con il cuore.

Lettera firmata: Una mamma delusa da suo figlio, 19 anni

“Cara Dott.ssa Montagni, sono una mamma di un ragazzo di 19 anni. Sono tanto delusa da lui. Non va bene a scuola, non si mette nei guai, ma è svogliato, sembra non gli interessi nulla e nessuno — nemmeno se stesso. È spento, disinteressato al futuro. Nell’ultimo litigio ho detto: ‘Sia io che papà siamo delusi di te’, e da lì tutto è peggiorato. È scoppiato a piangere e non ci parla più. Ora non so cosa fare.”

Risponde la dott.ssa Arianna Montagni

Cara mamma,

mi sono fermata davvero a lungo sulle tue parole.
Mi hanno colpita, perché parlano di una fatica profonda, ma anche di un amore che lotta, che non si arrende. Tu vedi tuo figlio spento, immobile, quasi estraneo a se stesso — ed è come se ti stessi chiedendo: “Dove sei finito? E dove sono finita io come madre?”

C’è un passaggio che hai fatto e che credo sia il cuore di tutto: quella frase che gli hai detto, “Siamo delusi di te.”
Credo che oggi sia proprio questa a farti più paura. Perché hai visto cosa ha provocato. Hai visto il pianto, la chiusura, il muro. E ti chiedi se, con quelle parole, non lo hai allontanato ancora di più.

Ecco, permettimi di dirti questo con molta onestà e altrettanta tenerezza: sì, quella frase ha colpito. È stata forte. Ma non è definitiva.
Non segna la fine di niente, se tu ora scegli di riparare.
Come dice il professor Callegaro, che accompagna tante famiglie nel dolore e nel cambiamento:

“I legami non si negano. Si riparano.”

Non serve cancellare quella frase. Non si può, del resto.
Ma si può fare qualcosa di molto più potente: metterla nel suo contesto, raccontarla per ciò che era.
Una frase uscita in un momento di frustrazione, di paura, forse anche di senso di impotenza. Una frase detta da una madre che vede suo figlio perdersi nella nebbia e vorrebbe urlare per svegliarlo, per riportarlo a riva.

Sai, molti ragazzi oggi sono lì: su un ponte instabile tra l’adolescenza e la vita adulta.
Non sanno bene dove andare, come definirsi, a chi appartenere. È come se avessero davanti due figure simboliche: da una parte Caronte, il traghettatore dell’immobilità e della rinuncia. Dall’altra parte Hermes, il messaggero della vita, il movimento, la possibilità.
Ma per scegliere una direzione, devono prima stare un po’ lì — sospesi, in ascolto. E questo silenzio può essere insopportabile per un genitore.

Ma proprio perché sei sua madre, puoi offrirgli qualcosa che non riceverà da nessun altro: un atto di riparazione affettiva.
Un messaggio piccolo, ma pieno di verità. Può bastare qualcosa come:

“Quella frase — “siamo delusi” — è uscita dalla mia frustrazione. Non era giusta, lo so. Non significa che non ti vogliamo bene. Anzi: ti vogliamo bene così tanto che a volte la paura prende il sopravvento. Paura di perderti, di non riuscire ad aiutarti. Ma non sei solo. Io ci sono.”

Queste parole sono un esempio di quello che Edgar H. Schein chiama feedback attivo, strumento viene spiegato anche nel nostro libro GenitoriOK-una comunicazione che non accusa, non giudica, non forza. Ma che riflette, restituisce, cura.
Il feedback attivo non serve a correggere l’altro, ma a riaprire un ponte relazionale. È un gesto che dice: “Riconosco l’impatto che ho avuto su di te. E scelgo di esserci comunque, in modo nuovo.”

Tuo figlio, oggi, è fermo su quel ponte difficile tra adolescenza e vita adulta.
Da una parte la rinuncia, il disimpegno, l’indifferenza (quel Caronte che traghetta verso l’ombra). Dall’altra, però, c’è ancora Hermes: messaggero della vita, della ricerca, del movimento.

Tu non puoi decidere per lui la direzione. Ma puoi esserci mentre lui sceglie.
A volte l’amore non è capire. È restare.

Con affetto grande, Arianna Montagni

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