Quando cerchiamo di possedere il foglio, ovvero di definire rigidamente chi sono i nostri figli e come devono comportarsi, ci avviamo verso un allontanamento. Le aspettative che nutriamo diventano un’armatura: pesano su di loro e ci impediscono di vedere chi sono davvero. È qui che nascono frasi come “non lo riconosco più” o “non è il ragazzo che pensavo”. Ma queste affermazioni riflettono davvero un cambiamento in loro, o sono il risultato della nostra incapacità di vederli per quello che sono?
L’idea di sapere già tutto su nostro figlio ci inganna. Crediamo di conoscerlo meglio di chiunque altro, ma spesso lo facciamo attraverso il filtro delle nostre aspettative. Questo filtro non solo limita la loro libertà di essere se stessi, ma logora anche la fiducia che dovrebbe esserci nella relazione.
L’autoinganno è il punto di partenza di molte delusioni. Quando imponiamo un “vestito” al nostro figlio – una definizione preconfezionata di chi dovrebbe essere – ogni deviazione da quell’immagine diventa una fonte di frustrazione. Lo osserviamo, ma con occhi che non vedono realmente; giudichiamo, ma sulla base di uno schema che abbiamo costruito noi.
Invece, è fondamentale accettare che i nostri ragazzi non sono una nostra estensione, ma persone con caratteristiche, sogni e aspirazioni proprie. Le loro scelte non devono confermare le nostre aspettative per essere valide; il nostro ruolo è accompagnarli, non intrappolarli.
Come possiamo uscire da questa dinamica di controllo e delusione? La risposta sta nell’adottare due strumenti fondamentali: la ragione e la validazione.
La ragione ci aiuta a riflettere prima di reagire. Ci permette di mettere in discussione le nostre convinzioni e riconoscere quando stiamo proiettando le nostre paure o aspettative su di loro.
La validazione, invece, è un atto di riconoscimento: significa vedere e accettare i nostri figli per ciò che sono, non per ciò che vorremmo che fossero. Validare non vuol dire approvare tutto, ma ascoltare senza giudicare, riconoscere il loro vissuto e rispettare la loro unicità.
Ogni genitore desidera il meglio per i propri figli, ma a volte il meglio non coincide con ciò che abbiamo immaginato per loro. La crescita è un viaggio, e noi non siamo i capitani della loro nave: siamo la bussola, il porto sicuro in cui possono tornare. Riconoscere i nostri limiti e lavorare su di noi – sulle nostre aspettative, sulle nostre paure – è il primo passo per costruire una relazione che sia davvero un terreno fertile per la loro crescita.
Essere genitori non significa avere tutte le risposte, ma essere disposti a fare domande. Chi sono davvero i nostri figli? Cosa li rende felici? Come possiamo sostenerli senza soffocarli? La risposta sta nella capacità di abbandonare il controllo per lasciare spazio alla fiducia. Solo così possiamo trasformare la relazione con loro in un porto sicuro, dove possono crescere e navigare verso il loro futuro, liberi di essere chi sono davvero.
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